Il distacco del personale all’estero

Mar 3, 2017

Una delle più grandi sfide per un’azienda è rappresentata dalla possibilità di superare i confini nazionale, attraverso il distacco del personale all’estero. Di approdare all’estero portando i propri prodotti. Oltre ai propri valori ed alla qualità del proprio sistema produttivo. Ma proprio in questo caso nasce una nuova situazione da affrontare molto bene.

IL DISTACCO DEL PERSONALE ALL’ESTERO: CHE SFIDA

Perché distaccare all’estero del proprio personale non è una cosa semplice. In quanto bisogna districarsi in una selva di differenti esigenze contrattuali, previdenziali e fiscali. Sarebbe facile ed anche molto utile avere un modo di comportamento standard in questi casi, ma purtroppo non è così.
E molto spesso le situazioni simili differiscono tra loro, in base alle differenti situazioni. In base alle tipologie di contratto oppure perché le due casse previdenziali non operano nel medesimo modo.

CONSOCIATE

Oppure perché, può capitare, un’azienda applica un’assunzione attraverso una consociata del paese estero in questione anziché direttamente. Ecco, allora, che bisogna esaminare quasi caso per caso. Partendo però da una base comune per tutti quei lavoratori che fanno questa scelta. La prima discriminante in questi casi è rappresentata dalla durata della trasferta estera. Nel caso in cui si parli di brevi periodi, solitamente la soglia entro il quale si può utilizzare la formula della trasferta per esigenze contingenti è rappresentata in sei mesi, allora il rapporto di lavoro resta direttamente fra azienda e dipendente.

IL DISTACCO DEL PERSONALE ALL’ESTERO IN CASO DI LUNGHI PERIODI

Se il periodo di distacco del personale all’estero supera i 183 giorni nell’arco dei dodici mesi, allora scattano in automatico le retribuzioni convenzionali. Un altro discorso ancora differente è legato al distacco internazionale. Ovvero una prassi usata molto spesso dalle aziende nel caso di personale all’estero.
Quando il periodo da trascorrere oltre confine è particolarmente lungo il rapporto di lavoro diventa di fatto un triangolo fra il lavoratore, l’azienda e la società distaccataria. Ovvero la filiale o l’impresa del paese straniero nel quale si trasferisce il dipendente. Una situazione abbastanza comune ma da controllare molto bene a livello contrattuale.

A LIVELLO CONTRATTUALE

Perché solitamente le due società concordano fra loro le modalità di ridistribuzione o di rimborso dei costi sostenuti. Mentre fra l’azienda di origine ed il dipendente verrà stipulato un nuovo contratto. Che terrà conto di tutte le diverse voci inerenti a questo periodo all’estero.
Per un lavoratore che si recherà oltre confine, se entro determinati parametri temporali e se impegnato in un paese della Ue o convenzionato oppure in Svizzera, continuerà ad avere regolarmente la propria iscrizione alla previdenza italiana. Ottenendo una particolare deroga a quel principio secondo il quale i contributi devono essere pagati nel paese in cui si lavora.

IL DISTACCO DEL PERSONALE ALL’ESTERO: FRA EUROPA E RESTO DEL MONDO

Diverso è se il paese di destinazione è fuori dall’Unione Europea e non ha attive delle convenzioni, come ad esempio la Cina o l’India o il Sudest asiatico. In quanto sia l’azienda sia il dipendente dovranno contribuire sia in Italia sia dove effettivamente sono impiegati. Attenzione al tema del “doppione”, perché così come in alcune situazioni si sarà costretti ad una doppia previdenza. Potrebbe capitare anche di essere costretti ad una doppia imposizione fiscale. In Italia e nel paese in cui si svolge l’attività lavorativa. Secondo le leggi di quello stato dove c’è il distacco del personale all’estero.
Quando il trasferimento del lavoratore in questione, infine, è definitivo o comunque per lunghi periodi, si consiglia di applicare la localizzazione. Grazie al quale si ha un rapporto di lavoro di fatto di diritto estero che permetterebbe comunque di mantenere la previdenza italiana integrata da retribuzioni convenzionate.

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